Pubblichiamo una lettera amarissima di un padre e precario siciliano che è alle prese con la realtà di tutti i giorni.
Thank you for reading this post, don't forget to subscribe!La lettera, risalente al 2010, suscita ancora gli animi e opinioni di chi ad oggi si trova nelle stesse condizioni.
Il padre siciliano si chiama Giuseppe Cangemi. Ha pubblicato e divulgato la sua lettera in rete anche attraverso testate giornalistiche locali e nazionali.
ECCO LA LETTERA IN FORMATO INTEGRALE:
“Da siciliano dico di amare la mia Sicilia. Ma da essere umano mi domando perché dovrei farlo? Mi chiedo cosa ci sia da amare in una terra in cui la speranza è diventata solo una chimera. Mi chiedo cosa ci sia da amare in un luogo in cui non c’è futuro. Mi chiedo cosa ci sia da amare in una regione in cui il calore umano non esiste più, se non nei luoghi comuni”
“Forse un tempo – continua Giuseppe – la Sicilia era terra accogliente, aperta, curiosa e premurosa verso gli altri e verso i propri concittadini. Oggi è una terra diffidente e opportunista nei confronti di chi viene in visita nelle nostre città. Non siamo in grado di mantenere noi stessi. Non siamo in grado di sfruttare il turismo che potrebbe essere una delle prime fonti di ricchezza. Non siamo in grado di migliorare noi stessi e amarci tanto da portare le nostre città ad un livello veramente europeo. Siamo indietro di anni, rispetto alle strutture estere”.
“I giovani non hanno nessuna opportunità di lavoro, e se qualcuno più coraggioso o intraprendente prova a mettere su un’attività in proprio, deve far fronte al problema del pizzo. La mafia, una forma mentis, più che un’organizzazione. Un modo di pensare, un modo di vivere e di vedere il mondo fin troppo radicato. Devi pagare per non avere problemi. Ho combattuto e ho affrontato tante difficoltà nella convinzione e nella speranza di vedere, un giorno, la mia terra cambiare. Purtroppo non è stato così e forse non lo sarà mai”.
“Cosa vogliamo lasciare ai nostri figli? Vogliamo che anche loro si debbano un giorno scontrare con tutte queste difficoltà, con tutto questo odio, con tutte queste “rinunce”? Vogliamo davvero farli crescere in un luogo in cui non puoi sperare altro che diventare un precario che prima o poi, qualche amministrazione si decida a stabilizzare in cambio di voti?”.
Davvero una lettera forte, commuovente ma, nello stesso tempo, amarissima. Una lettera che di certo, nonostante fosse del 2010, è molto contemporanea.