Sicilia, il lavoro che non c’è: o si cambia o si muore

Eh sì! Quanto vorremmo non parlare sempre delle stesse cose. Ormai ne abbiamo la nausea noi più di voi, cari amici. Allora: da dove cominciamo? Iniziamo da mamma “Rai”; oh scusate, da mamma “Ue”. Sì, perché se non ci sono le risorse economiche come si fa a parlare di lavoro? A Roma dicono “nun c’è trippa pe’ gatti”. E chi può o deve sovvenzionare tutte le politiche economiche e del lavoro e ne ha i fondi necessari? L’Unione Europea. Bene. Il 27 Maggio la Presidente della Commissione Europea all’Europarlamento Von Der Leyen, per le amiche tedesche e francesi Ursula, annuncia la messa in opera del nuovo “Piano Marshall” da due mila miliardi, nei prossimi sette anni, per l’Unione Europea: il Recovery Found; strumento nuovo inserito nel bilancio europeo e finanziato anche con bond della Commissione per fronteggiare la crisi economica scatenata da Covid-19. In particolare illustra uno dei suoi strumenti che è stato chiamato “Next Generation Eu” (letteralmente: nuovo patto generazionale); il nuovo fondo ammonta a 750 miliardi di cui 500 miliardi in sussidi a fondo perduto e 250 miliardi in prestiti. La proposta ricalca, guarda caso, quella presentata da Angela Merckel ed Emmanuel Macron, l’asse franco-tedesco, che ha di fatto sbloccato l’impasse della trattativa bloccata dai veti tra Nord e Sud.

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Per l’Italia il pacchetto ammonta a 172,7 miliardi di cui 81,807 miliardi sarebbero versati come aiuti a fondo perduto e 90,938 miliardi come prestiti, da restituire tra il 2028 e il 2058. Al secondo e terzo posto ci sono la Spagna e poi la Polonia. Lo stesso giorno, il nostro ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, gridando al miracolo e a cui si sono uniti i giornali filo-governativi, si è subito precipitato a dichiarare che le risorse saranno destinate per rilanciare la crescita, l’economia, l’occupazione e la coesione. E fino a qui “nulla quaestio”. Senonchè, i maligni si sono chiesti come mai la Germania e la Francia, acerrimi nemici dell’Italia in Europa, ci hanno elargito tutti questi miliardi? Troppa grazia Sant’ Antonio! In Italia si dice” fatta la legge, trovato l’inganno”. E negli altri paesi dell’Europa? Così si viene a scoprire che, intanto, per convincere i paesi cosiddetti “frugali”(e credeteci sulla parola neanche noi abbiamo capito il perché li chiamano così) rappresentati dalla Danimarca, dall’Olanda, dalla Finlandia e dall’Austria, che hanno da sempre osteggiato la proposta della Commissione (filo franco-tedesca) di dare dei contributi a fondo perduto, gli hanno concesso un piccolo “cadeau” a fondo perduto, rispettivamente di 2,156 miliardi, di 6,751, di 3,460 e di 4,043 (tutti soldi nostri). Ma non è finita qui.

I nostri parlamentari Europei e Nazionali dell’attuale maggioranza governativa, presi dall’euforia (o travolti da un insolito destino nell’azzurro mare di Agosto) non si sono accorti che i prestiti, anche se a tasso agevolato, vanno restituiti e con gli interessi, anche se lo faranno le future generazioni. A meno chè gli attuali siederanno in parlamento per altri 38 anni; e questa, visto i risultati, la vedo molto dura. Se ne sono accorti, invece, i tedeschi ed i francesi, che non hanno bisogno di prestiti e che hanno preferito ricevere di meno ma in contanti (pochi ma buoni): infatti la Francia riceverà 38.7 miliardi e la Germania 28.8 miliardi. Ma attenzione: e qui sta la furbata all’italiana, non come prestiti ma come aiuti a” fondo perduto”, e quindi da non restituire (e cioè aggratis!). Bene, il pranzo è servito signori, pardon: “la fregatura”. E per concludere in bellezza, si viene a sapere che Bruxelles per reperire le risorse ha proposto di creare nuove entrate tramite la tassazione sulle emissioni di Co2, delle grandi multinazionali, sull’uso della plastica, dei servizi digitali (detta web tax), ecc. Volete sapere come andrà a finire questa storia? Provate ad indovinare pensando al peggio e ci “azzeccherete”. Gli italiani dovremo rimborsare non solo il capitale e gli interessi dei prestiti che ci hanno concesso ma dovremo tassarci per dare i contributi a fondo perduto alla Francia ed alla Germania, nostri acerrimi nemici in Europa. Grazie, signor Presidente del Consiglio, avvocato “Giuseppi” Conte. Ora abbiamo capito perché questo Governo non riesce a farsi degli amici.

E veniamo ai fatti di casa nostra. Parliamo di questo benedetto Decreto Legge detto “Rilancio”. Un pacchetto di misure che si aggira intorno ai 155 miliardi di euro. Ancora una volta viene premiato di più il Nord; alle regioni più ricche andranno più risorse mentre il Sud non solo ha perso una occasione ma ha perso la partita almeno per i prossimi vent’anni. A dirlo è l’illustre economista Pietro Massimo Busetta, professore ordinario di scienze economiche e statistiche presso l’Università di Palermo. I due parametri del Decreto per la distribuzione delle risorse sono: occupazione e reddito complessivo, senza considerare la popolazione. Ciò significa che alle regioni più ricche andranno più risorse perché hanno un tasso di occupazione maggiore e quindi un livello economico superiore. I nostri governanti non hanno ancora capito che l’Italia senza il Mezzogiorno rimarrà sempre un piccolo Stato dell’Europa.

Per quanto riguarda il lavoro, la montagna ha partorito il topolino: registriamo “solo” una piccola novità che riguarda il programma “Resto al Sud”; istituito con la Legge n.213/2017 prevede misure di sostegno, per i beneficiari del programma, con contributi agevolati e a fondo perduto fino ad un massimo di 200.000,00 euro; previsto, inizialmente, solo per i lavoratori autonomi il Decreto suddetto ne ha esteso i benefici anche ai professionisti ed agli under 46, con un ulteriore contributo a fondo perduto di 15.000,00 euro. La misura, purtroppo, è stata poco attrattiva in Sicilia (al 3° posto fra le Regioni del Sud con solo 795 nuove imprese e 3.043 occupati) tanto è vero che, l’Assessore Regionale all’Economia Gaetano Armao, ha previsto un ulteriore contributo a fondo perduto, nella legge di Stabilità regionale entrata in vigore a Maggio, che sarà proporzionale al reddito prodotto dalle imprese giovanili. Era ora!

Un’altra buona notizia, sul fronte del binomio economia-lavoro, arriva dal Ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano, che ha sbloccato 300 milioni, del Fondo infrastrutture sociali, per 2.550 Comuni del Sud, per 20,6 milioni di abitanti e 117 mila euro di contributo medio; il decreto ripartisce 75 milioni annui dal 2020 al 2023 direttamente ai Comuni, privilegiando città medie e piccole, per nuovi interventi di manutenzioni straordinarie di scuole, strutture e residenze sanitarie, edilizia sociale, beni culturali, impianti sportivi, arredo urbano, verde pubblico e altri settori. Il criterio di assegnazione è inversamente proporzionale alla popolazione per cui sarà garantito anche ai piccoli Comuni un contributo molto sostanzioso; alla Sicilia arriveranno 56,6 milioni con i quali si potranno garantire i servizi sociali, rilanciare l’economia locale e la qualità della vita, oltre ben inteso a creare nuova occupazione.

A spegnere i facili entusiasmi, però, in tema di occupazione e lavoro, è arrivata puntuale la voce del Presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, il quale ha detto e scritto, “ papale papale”, che la nostra classe politica ha “zero strategia sul futuro dell’Italia e pensa di affrontare i problemi del Paese pensando solo al dividendo elettorale”. Oh! finalmente la verità. L’avessimo detto i Sindacati una cosa del genere: apriti cielo! C’è il rischio, continuando così, di perdere fino ad un milione di posti di lavoro, altrochè (si sappia che per riprendere i livelli occupazionali pre-Covid ci vorranno, secondo l’Anpal, almeno tre anni). L’economia è una cosa diversa dagli interventi a pioggia (remenber: reddito di cittadinanza, di emergenza, e quant’altro); i posti di lavoro si creano se ci sono crescita e investimenti. Ci sono le infrastrutture e le grandi opere che vanno realizzate per rimettere in moto il Paese. Questa crisi deve essere, invece, l’occasione giusta per ripartire e modernizzare il Paese, eliminando definitivamente la burocrazia inutile e svoltare definitivamente sul versante della semplificazione amministrativa per tutte le procedure autorizzative. Il Governo per aiutare questo cambiamento deve capire che alle aziende servono “tempo e liquidità”. I sei anni per rientrare dai debiti contratti sono insufficienti; alle imprese servono prestiti rimborsabili in 15/20 anni; inoltre, serve liquidità e, come è successo in altri paesi occidentali, il Governo deve elargire anche contributi a fondo perduto facendo leva sulla rapidità di erogazione di questi strumenti.

E arriviamo alla nostra Sicilia. Come si può parlare di occupazione e lavoro nella nostra Isola quando stamattina, aprendo i giornali, veniamo a sapere che i costi di Palazzo dei Normanni, ove ha sede l’Assemblea Regionale Siciliana, costa al contribuente Siciliano 224 milioni con un aumento, rispetto al 2019, di 11 milioni di euro, e non di bruscolini. Tanto per avere una idea, se li avessimo risparmiati, dopo trent’anni, con quei soldi ci avremmo realizzato il Ponte sullo Stretto. Come si può, cari lettori, essere governati ancora da un “branco di imbecilli”, come li definirebbe sicuramente il Governatore della Campania, Vincenzo De Luca. Ma! “Non ti curar di loro ma guarda e passa”, diceva il Sommo Poeta. Torniamo a parlare di cose serie. Il quadro, peraltro molto desolante, dell’economia-lavoro in Sicilia è questo (dati Istat al 31-12-2019): le imprese attive erano 467.447 ed occupavano un milione e 92 mila addetti, dei quali 129.021 impegnati in agricoltura. I disoccupati erano 346 mila (al 30.6.19), il 20% contro il 9.8% della media nazionale; la disoccupazione giovanile era il 42% contro il 25% della media nazionale, il più alto tra tutte le Regioni. I bassi livelli occupazionali incidono sul livello dell’economia e sul benessere delle famiglie siciliane. L’economia Siciliana, si sa, è fragile per diverse ragioni tutte collegate fra di loro. La sua struttura è costituita in prevalenza da commercio, servizi, turismo, agricoltura e da piccole e medie imprese che non aiutano di certo la resilienza del nostro sistema imprenditoriale regionale. I nostri problemi non è che sono arrivati adesso con la pandemia ma risalgono a decenni e decenni di malgoverno da parte della classe politica Nazionale e ancora peggio di quella Regionale che se ne è sempre “ strafregata” delle reali esigenze economiche delle nostre imprese e delle famiglie Siciliane; tutti noi non abbiamo dimenticato che in passato, migliaia e migliaia di lavoratori, ed i nostri giovani migliori, sono emigrati, e lo fanno ancora oggi, per trovare lavoro in Europa.

Il Governo Regionale dovrebbe, innanzitutto, portare avanti un’imponente opera di ristrutturazione e razionalizzazione per garantire una migliore efficienza dei servizi pubblici e una sburocratizzazione che possa funzionare da volano per lo sviluppo. Realizzare un “Piano Straordinario” di potenziamento delle infrastrutture che possa colmare il deficit competitivo delle nostre imprese permettendogli di attirare investimenti, anche fuori dai confini regionali e nazionali, sfruttando al meglio i fondi Europei. Investire nell’innovazione e nella digitalizzazione dell’economia che migliorerebbe la produttività, vero tallone d’Achille del nostro sistema imprenditoriale regionale. In sintesi: capacità di fare sistema e innovazione.

Un po’ di risorse finanziarie le abbiamo o arriveranno. Dal P.S.R. (Piano di Sviluppo Rurale) sono disponibili circa 1,5 miliardi di fondi Ue da rimodulare; la Regione poi vorrebbe trattenere un altro miliardo di fondi strutturali proveniente dalle misure statali anti-Covid; sul DEF la Sicilia chiede allo Stato 2,6 miliardi per compensare i danni subiti dai cittadini (circa 2 mila euro per ogni siciliano) e imprese; una parte dei fondi Europei del Mef dovrebbero essere destinati ai bilanci delle Regioni a Statuto Speciale; dunque circa 5 miliardi. E’ in dirittura di arrivo il “Piano di rilancio dei cantieri e del lavoro”; l’Anas ed Rfi (rete ferroviaria italiana) dovrebbero realizzare in Sicilia opere stradali e ferroviarie per circa 16 miliardi; l’idea è quella di estendere il modello virtuoso di gioco di squadra già sperimentato per lo sblocco della Ragusa-Catania; un boom di cantieri che può rilanciare l’economia fino al punto da far tornare in Sicilia laureati, tecnici e manovalanza specializzata. Come risorse extra-regionali alla Sicilia sono assegnati 1,9 miliardi col Poc, per il rafforzamento del sistema produttivo, mentre rimangono da spendere 3 miliardi della dote del Po-Fesr 2014-2020. Non bastano, dice l’Assessore Regionale all’Economia, Gaetano Armao, in quanto l’Isola ha bisogno di una iniezione di investimenti pubblici pari almeno a 5 miliardi l’anno aggiuntivi alla dotazione attuale, anche perché in 10 anni sono stati sottratti alla Sicilia 60-70 miliardi.

Da un rapporto di Unioncamere Sicilia si apprende che circa 4 mila aziende hanno chiuso e sono fallite prima della ripartenza nei settori cruciali del commercio, agricoltura e artigianato; nel turismo si dà per scontato la perdita del 47% di turisti ovvero di visitatori stranieri; su un totale di 5 milioni di turisti l’anno oltre 2 milioni e 300 mila sono stranieri; un dato negativo che metterà in ginocchio le oltre 16 mila imprese artigiane coinvolte direttamente dalla domanda turistica; una perdita nel settore che si aggira intorno ai 700 milioni solo nel 2020 (Istituto Demoskopika), un prezzo troppo alto per una Regione che ha tante vocazioni turistiche. Interviene anche Sicindustria con una lettera aperta a Musumeci; chiedono un piano straordinario che preveda, in sintesi: tempi certi e veloci per le autorizzazioni; liquidità alle imprese; contributi per la copertura degli oneri previdenziali e sociali e quindi una nuova e convinta politica industriale sostenibile in quanto il lookdown ha fermato il 58% delle nostre imprese lasciando a casa circa 50.000,00 lavoratori solo nel settore industriale. La perdita del sistema economico nel suo complesso è stimata in 2,1 miliardi al mese.

Un capitolo a parte merita la nostra agricoltura. E parliamo di un fatturato di circa 5 miliardi di euro, di quasi 30 milioni di giornate lavorative e di 220 mila aziende per lo più a conduzione diretta; di aziende viticole che operano su 52 mila ettari di cui 5.500 con uva da tavola e quasi 60 mila ettari di agrumeti per un terzo biologico: non c’è dubbio è il nostro fiore all’occhiello. Abbiamo da sempre sollecitato il nostro Governo Regionale a fare presto e di più. La cosa più urgente da fare è impegnare i circa 12 miliardi di risorse dello Sviluppo Rurale, finora non spesi, per una quota dei quali si rischia addirittura il disimpegno.

Abbiamo, per esempio, una legge regionale (la n.17 del 16.10.19) che protegge e promuove i prodotti “made in Sicily”. La Regione può fare accordi quadro con soggetti privati, con sede in Sicilia, tra cui catene commerciali e alberghiere per la promozione e commercializzazione di prodotti locali denominati, per l’appunto, “made in Sicily” i quali rientrano nei requisiti previsti per il loro riconoscimento. Accanto è stata creata una piattaforma informatica multifunzionale chiamata “Blockchain”che istituisce un registro pubblico aperto, condiviso, trasparente, sicuro ed immutabile, in grado di garantire la sicurezza ed il controllo dei prodotti alimentari, la tracciabilità e la rintracciabilità degli stessi per accrescere la fiducia dei consumatori finali nell’operato delle istituzioni e delle aziende. Un tale sistema impedirà, finalmente, il dilagare del fenomeno dell’“Italian Sounding”, cioè dell’imitazione nel mondo dei prodotti italiani “made in Italy”, ed in specie del nostro brand “made in Sicily”, con un danno, nel mercato internazionale, che si aggira intorno ai 100 miliardi di dollari. Per la Sicilia, però, a differenza di altri, non è solo il luogo geografico a fare la differenza ma il nostro marchio è anche l’espressione della “sicilitudine” nei prodotti e nei servizi di tanti settori che abbiamo esportato in tutto il mondo. Quello che attrae i compratori è la percezione di acquistare, assieme al prodotto “made in Sicily”, l’identità sociale della gente di Sicilia ed i valori più importanti della sicilianità, che sono: il nostro senso dell’amicizia, il rispetto delle tradizioni, la passione in ciò che viene fatto, il senso dell’ospitalità, l’eterna bellezza della nostra Isola, i profumi d’oriente della nostra natura e l’azzurro celestiale dei nostri mari; ecco perché si parla sempre, non solo delle forza economica (qualità e prezzo) dei nostri prodotti, ma principalmente della loro “ forza iconica”. Ecco spiegato, anche, il motivo perché oggi la Sicilia è la Regione più presente nel PAT, che è l’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (sono 5.128), istituito dal Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali(MIPAAF), con la collaborazione delle Regioni, al fine di promuoverne la conoscenza a livello nazionale e all’estero. Oggi la Sicilia è ai primi posti, in Italia, con 19 marchi DOP e 13 IGP (fra cui l’uva da tavola di Mazzarrone), per quanto riguarda i prodotti agroalimentari e 23 DOC, 8 IGT e uno DOCG, per quanto riguarda i vini. Magari, non avremo mai, forse, il Ponte più lungo del mondo sullo Stretto di Messina, ma per il resto…

Come si può vedere, e sentire, la Sicilia ha tante potenzialità da poter sfruttare per uscire dalla crisi e rilanciare il proprio sistema economico e sociale contribuendo alla rinascita ed al rilancio della nostra Italia. Basta però anime morte. Ci vogliono anime vive che vogliono crescere e contribuire al bene comune.

Bene, cari Amici. Dal 3 Giugno, come sapete, si può viaggiare in tutta Italia e si torna a Roma. I miei impegni Sindacali, quale Rappresentante delle politiche del lavoro per il Sud all’interno del Direttivo Nazionale, hanno la precedenza su tutto. Io ringrazio, con tutto il cuore, innanzitutto, l’editore Salvo Zammuto, un vero e proprio pigmalione del giornalismo italiano che ha avuto il coraggio o forse l’incoscienza di investire in questo giornale, (un vero gladiatore, romano de’ Roma), che si è innamorato della Sicilia e di una bella siciliana, per avere avuto il “coraggio” di ospitare fra le sue file un Sindacalista e, credetemi, non lo fanno in molti. Un grazie alle centinaia di lettori che hanno seguito, su Facebook, con interesse i miei articoli e questo giornale: per me è stato un onore. Un invito ai corrispondenti ed ai lettori a continuare a sostenere questo giornale che rappresenta, senza se e senza ma, l’unica voce veramente libera e coraggiosa in Sicilia. Un grazie di cuore e buona fortuna a tutti.

Dr. Giuseppe Petriglieri, Presidente del Circolo Fenapi Ali, Mazzarrone

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