Rainer Hachenberg, l’avvelenatore, racconta la sua esperienza in carcere

Rainer Hachenberg nato nel 1996 a Bra in provincia di Cuneo da famiglia umile e ristretta, ha studiato meccatronica ed automazione industriale, idraulica ed artigianato. Ha lavorato come manutentore in una grande azienda dolciaria.

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Secondo quanto riportato dalla  testata giornalistica ”La Stampa” con un articolo del 5 aprile 2019, la Stampa ha intervistato Rainer, il quale  venne arrestato in seguito ad alcune intercettazioni di messaggistica dell’App Telegram, che lo incastravano sui suoi propositi omicidi. Rainer avrebbe inoltre fornito del veleno ad altri arrestati, che in cambio avrebbero dovuto acquistare per lui dei “Fiori Blu” nonché LSD.

Il tentativo di omicidio determinato da una disputa amorosa, nei confronti di Ruggero Vallese, sarebbe avvenuto durante una festa di Casapound andando fortunatamente a vuoto.

Vivi sempre a Bra? “Vivo sempre a Bra”.

Sei un uomo libero o sei in semi-libertà? “Sto attualmente in un regime di affidamento ai servizi sociali, ovvero ho un lavoro che mi permette di stare fuori e sono obbligato a restare a casa in alcuni orari, senza poter uscire dalla provincia di Cuneo. Lavoro volontario presso una cooperativa sociale, svolgo smistamento di componenti meccanici e idraulici”.

Sei autorizzato ad accedere alla piattaforma Facebook? “Io mi sono informato prima di iscrivermi sui social, so che anzitutto è obbligatorio avere a disposizione uno smartphone per rimanere in contatto con gli assistenti sociali e l’avvocato. Eventualmente se ci fosse un divieto dell’utilizzo dei social il magistrato deve comunicarlo nelle prescrizioni che regolano il mio beneficio”.

Il tuo post ci ha colpito, era auto-ironico e pungente, cosa ti ha spinto a parlare della tua storia pubblicamente? “Io ho notato subito la particolarità di avere delle materie povere con le quali si nutrivano le persone. Essendo appena uscito di galera ho mangiato nel modo più povero possibile. Più povero del mangiare del carcere non c’è nulla. Perciò mi è sembrato un buon paragone di portare un post-galera in un gruppo per portare a conoscenza di un mondo del quale si ignora l’esistenza”.

Cosa intendi con mangiare povero in galera? “Intendo dire che ci sono due punti fondamentali, il primo riguarda la quantità che è regolata dal ministero ma non è rispettata da nessun carcere in Italia. Questo lo affermo perché sono stato ospite di 4 carceri da nord a sud. Il secondo punto riguarda ovviamente la qualità, si tratta di alimenti di scarto, sotto-appalti, generi di alimenti in scadenza, sono prodotti che non vengono venduti nei negozi e vengono venduti per pochi centesimi al carcere”.

Hai veramente tentato di uccidere Ruggero Vallese? “Di ucciderlo no, ma di vendere la mia sostanza si”.

Cosa intendi per vendere la tua sostanza? “Intendo dire che l’idea era di somministrare quella sostanza a Vallese era un banco di prova, questo era il piano stabilito dai complici, dopodiché la sostanza sarebbe stata venduta nel deep web”.

Se eri certo che la sostanza non potesse uccidere, come potevi sperare di venderla? “Io la sostanza l’ho fatta veramente, ma non è mai stata consegnata ai miei complici per uccidere Vallese. Tanto è vero che il primo tentato omicidio del 10 novembre lo hanno dichiarato tale, perché dalle intercettazioni io dicevo ai complici che la sostanza era efficace, ma non lo era, tant’è che non hanno alcuna prova tangibile al di fuori di quelle chat. Il secondo tentato omicidio ci hanno arrestati prima che io consegnassi la sostanza. Perciò dal punto di vista fisico non è mai stato avvelenato il Vallese”.

Come è andata davvero la questione? Perché ti hanno accusato di aver avvelenato un cocktail? “Il reato implica che siamo tutti in concorso tra di noi. In quanto io ero a conoscenza delle intenzioni degli altri complici e sono stato accusato di tentato omicidio. La sostanza io non l’ho mai somministrata, era una in realtà una sostanza tossica che avrebbe solo causato disturbi gastrointestinali. Io penso che a somministrarla sia stato uno dei miei complici. Tuttora non esiste una prova che quella fosse ricina.
Successivamente ho sintetizzato realmente la ricina e questo è avvenuto soltanto dopo il 10 novembre, quando ho ricevuto l’attrezzatura per farlo e questo è riportato anche negli atti. Il primo tentativo è andato a vuoto, non era un vero tentativo, i complici mi hanno incitato a compiere un secondo tentativo e questa volta dovevo realizzarla veramente e avendo l’attrezzatura non avevo più nessuna scusante.
La sostanza è stata fatta ed è risultata letale ed attiva, ho preparato almeno 100 dosi. Si stava cominciando a pianificare quando e come somministrarla la seconda volta. I complici hanno proposto la data del 21 dicembre 2018 e stavano pensando a come somministrare la sostanza perché ora non c’era più la scusa della festa.
I complici hanno creato un gruppo a parte sull’applicazione Signal tenendomi fuori, inserendomi nel gruppo soltanto gli ultimi giorni e mostrandomi le loro intenzioni, che io disapprovavo, in quanto prima di tutto c’era di mezzo il nipotino minorenne di uno dei complici che avrebbe dovuto sparare con una pistola ad acqua in faccia a Vallese (la sostanza) e avremmo dovuto compiere l’agguato tutti e cinque sulla mia auto aspettandolo fuori dal lavoro”.

Quali motivazioni ti hanno indotto a tentare di uccidere? “Non volevo uccidere, in realtà volevo solo lucrare sulla sostanza. In realtà non siamo mai riusciti a metterci d’accordo né sul luogo né sull’orario dove compiere l’agguato. Io non volevo andare con loro, ma questa cosa ormai si era portata troppo avanti. Mi sentivo spaventato dai miei complici e dalla situazione che si era creata, non riuscendomi a tirare indietro. L’ultimo giorno il 21 dicembre, prima ancora di sapere luogo e orario ho ricevuto più di 31 chiamate da tutti e tre i complici, alle quali io non ho mai risposto, perché mi ero paralizzato e non volevo più partecipare a questo crimine. Lo stesso giorno, pochi minuti dopo c’è stato il blitz delle forze dell’ordine”.

Raccontaci del tuo arresto. “Ricordo che sono entrati nel condominio fingendosi Vigili del Fuoco per non spaventare gli altri condomini, hanno bussato alla mia porta, erano i Carabinieri accompagnati dal Ros e dal Nucleo Contro il Rischio Nucleare-Biologico-Chimico-Radiologico. Erano all’incirca una quarantina di operatori.
Hanno subito percepito che ero spaventato e confuso, mi hanno trattato con umanità e hanno preteso che consegnassi la sostanza venefica. Ho subito detto che la sostanza fosse ubicata all’interno del mio garage.
Hanno sequestrato vari reperti, attrezzature da laboratorio, hanno messo i sigilli alla casa e sono arrivate delle ambulanze. Gli operatori sanitari hanno verificato che io stesso non fossi stato contaminato dalla sostanza venefica.
Sono stato interrogato fino a tarda notte e dopodiché sono stato trasferito nel carcere di massima sicurezza di Asti”.

Come hai imparato a sintetizzare veleni? “Io non mi ci sono mai cimentato prima di questa esperienza, fu uno dei miei complici a reperire un insieme di ricette più o meno attendibili, dal quale ho fatto diverse prove prima di riuscire nell’intento. Non so dove abbia trovato le ricette, forse su internet”.

Secondo te cosa smuove a livello psicologico la mente umana per concepire il proposito di eliminare un’altra persona? “Posso dire in modo indiretto, perché io non ho mai avuto il pensiero di eliminare fisicamente qualcuno, ma per quello che ho visto ho considerato alcuni motivi che sono validi per iniziare a pensare a un omicidio, che poi va a realizzarsi. Io non approvo l’omicidio, ma è l’ultima spiaggia di un pensiero malsano maturato. Per esempio persone disperate che non possono più sottostare ad abusi e ricatti e si sentono in pericolo. Raptus di rabbia sul momento, ne ho visti molti in carcere”.

È vero che sei di destra? “No questo non è vero”.

Sei sovranista? “Questo sì”.

In una intervista rilasciata sul blog “Nuova Società” nel 2018 ti definivi sovranista, simpatizzante di Salvini e di Casapound, quali sono le tue posizioni ora? “Si lo ho detto allora e lo confermo. Le posizioni ora sono nettamente cambiate, ho sempre un’ideologia sovranista ma che non si rispecchia nella politica odierna, non segue nessuna corrente, è un pensiero in cui ipotizzo in cui non sarebbe male un’Italia padrona delle sue decisioni e della sua economia e che non seguisse un’agenda scritta da personaggi esteri. Io penso che ogni paese abbia le sue necessità, le proprie passioni, come ad esempio la produzione di vino in Italia e di birra in Germania, bisogna per cui valorizzare la propria identità ed amare quelle vicine”.

È vero che desideravi raggiungere un ruolo in politica, nutri ancora questo sogno? “Personalmente non sono più interessato, perché non credo più che ci sia il modo di farlo, uno può avere tutte le buone intenzioni, ma non c’è l’autonomia di farlo, non è questa l’epoca”.

Parlando del tuo giudizio, ritieni che la pena che ti è stata inflitta sia proporzionata alle tua tua condotta? “La risposta è assolutamente sì, perché il reato della produzione di armi chimiche va dai 4 ai 12 anni e visto che nei fatti è ciò che ho veramente realizzato ritengo la condanna congrua”.

Quanto carcere hai scontato? “Ho scontato effettivamente 2 anni e qualche giorno”

In carcere ci sono aspetti positivi? Quali? “La risposta è assolutamente sì. Primo perché suscita una capacità di sopravvivenza che fuori non si svilupperebbe. C’è un sistema di economia, riciclaggio, veramente incredibile: tutto, da una forchetta di plastica a una crosta di formaggio può essere riutilizzato per alleviare la tua detenzione.
Per esempio la crosta di formaggio che non è niente altro che cera, può essere ammorbidita e utilizzata per incollare i poster ai muri, oppure realizzare delle candele. La forchetta può essere fusa con l’accendino e creare ganci da muro per il pentolame.
Il carcere amplifica i sensi dell’attenzione, perché hai sempre davanti gli stessi luoghi, gli stessi rumori, le stesse ombre, perciò finisci per imparare a memoria ogni angolo del penitenziario e noti subito qualsiasi piccolo cambiamento. L’amplificazione è maggiore di quella che si vive in casa propria poiché dal tuo domicilio puoi uscire, mentre in carcere quell’angolo “diventa intimo, è tuo” e qualsiasi cambiamento può infastidire e diventare motivo di discussione tra i detenuti, come ad esempio un bicchiere spostato”.

Se potessi tornare indietro cosa diresti al te stesso che si è messo nei guai? “Direi tronca subito quelle relazioni e riprenditi con la testa”.

Che messaggio vuoi dare ai giovani tuoi coetanei, dopo la tua esperienza? “C’è un’alternativa per non delinquere, c’è sempre. Non c’è nulla di dignitoso nell’essere stato un criminale, non è figo e porta un sacco di problemi a voi ed i vostri cari”.

In carcere hai ricevuto pressioni o minacce da qualcuno? “Nel carcere di Asti non ho subito maltrattamenti, invece in altre strutture ci sono stati molti compromessi con persone instabili, tossicodipendenti o violenti con i quali non avevo mai convissuto prima e con i quali mi sono ritrovato a dividere gli spazi. Per esempio c’è un’omertà totale su quello che accade in cella, come ad esempio l’uso di droghe.
Sono stato costretto da un altro detenuto a nascondere nelle mie parti intime più volte un telefono cellulare.
All’interno del carcere ho visto cose molto brutte, pressioni, abusi e prepotenze, non su di me fortunatamente in generale. Per esempio persone minacciate da altri detenuti con delle armi di consegnare dei soldi, di fare dei bonifici, cedere il tabacco attraverso i familiari della persona minacciata.
Da parte delle guardie c’è il totale menefreghismo, cercano di tenere un ambiente pacato per il loro interesse, non per il nostro.
Ci sono problemi di igiene dovuti al fatto che nessun carcere d’Italia rispetta le normative europee minime per i diritti umani, tanto è vero che l’Italia riceve milioni di euro di multe con regolarità, che sono comunque più economiche delle manutenzioni da fare alle strutture.
Per esempio nei bagni e nelle docce c’è il muschio con i vermi, la notte si sentono le pedate per terra di chi schiaccia gli scarafaggi. A Torino hanno riempito il carcere di gatti per cacciare i topi.
Tutte le celle sono sovraffollate e dipende da carcere a carcere, si parla di una media di 4 detenuti ogni 12 mq, al sud la cosa è più accentuata e si arriva anche a 7”.

Hai avuto liti o discussioni con qualcuno all’interno del carcere? “Ho avuto discussioni per cose banali e sciocche, forse dovuto al fatto che vivendo al chiuso le persone sono più suscettibili. Nel mio caso ci sono stati piccoli scontri personali con colluttazione, ferendoci in maniera lieve. Ho assistito a un suicidio purtroppo già compiuto, riguardava una persona che aveva scontato 13 anni e sarebbe stata libera dopo pochi mesi, ma per la lunga detenzione aveva sviluppato una fobia di tornare all’esterno e si sentiva solo. Ci sono state risse al campo sportivo con ferite anche molto gravi. Esiste un’infermeria per curare le ferite, ma nessuno ci vuole andare perché implicherebbe ad entrambe le parti il rischio di subire un aumento di pena. Alcuni addirittura si cauterizzano le ferite con ferri caldi e le richiudono con ago e filo pur di non andare in infermeria, io stesso ne ho cuciti tre. Altri invece praticano autolesionismo per andare in infermeria per approcciarsi con le infermiere o “cambiare aria””.

Esistono percorsi rieducativi in carcere? Esiste un modo per lavorare? “Certamente, non sono sempre efficaci ma funzionano molto bene per passare il tempo da scontare. La prima alternativa è quella di poter svolgere un corso professionale finanziato dalla Regione, che rilascia un attestato e una qualifica valida su tutto il territorio europeo. Esistono bandi di letteratura per scrivere temi, poesie, saggi, romanzi e addirittura concorsi con premi in denaro. Ciò giova a incidere positivamente sul comportamento del detenuto. L’altra alternativa è quella del lavoro che viene selezionato in base alle competenze oppure in base alle necessità del carcere: Per esempio le pulizie in tutta la struttura sono i detenuti che le fanno, anche negli uffici delle guardie, questa è una necessità per esempio. Sono i detenuti che cucinano per tutta la struttura. I lavori di cantoniera e ristrutturazione vengono affidati spesso ai detenuti. Ci sono lavori di impiego come il bibliotecario, lo scrivano o il contabile. La possibilità di lavorare serve a spezzare la monotonia della vita rinchiusi”.

Hai accennato ad alcune falsità dei giornalisti a cosa ti riferivi? “Si può cominciare col dire che loro hanno cominciato a scrivere prima ancora di avere gli atti integrali e conoscere i fatti estrapolando parti di chat private e giudicandoci come dei diabolici assassini prima ancora di commettere il tutto. Ho riscontrato una certa malizia, mi ha dato fastidio che è stato divulgato il mio indirizzo di casa, hanno sbagliato a scrivere la mia data di arresto, i capi di accusa. Dal punto di vista scientifico hanno sbagliato scrivendo che si trattava di olio di ricino, quando in realtà erano semi di ricino trasformati in ricina che è una proteina, mentre l’olio di ricino è solo un purgante. Hanno anche dichiarato che ero un militante di Casapound, quando tra tutti e quattro io ero l’unico non tesserato. Hanno sempre omesso che ognuno di noi aveva un proprio motivo, facendo intendere che tutti e quattro avessimo un motivo passionale”.

Ora che sei fuori dal carcere stai subemendo delle minacce o discriminazioni? “In questo momento non ne ho ancora riscontrate, sono in libertà solo da due settimane, forse ho solo un po’ di soggezione perché la gente quando mi fa domande ci va con i piedi di piombo”.

Fonte: InformareH24.it

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