La dea fortuna, lungometraggio che scalda il cuore degli spettatori. Segna quasi un ritorno alle origini per il regista italo turco Ferzan Ozpetek.
La dea fortuna. Distribuito nelle sale cinematografiche italiane a partire dallo scorso 19 dicembre, “La dea fortuna” è il tredicesimo film diretto dal regista e scrittore turco, naturalizzato italiano, Ferzan Ozpetek. La pellicola è incentrata sulle vicissitudini di Arturo, scrittore costretto a lavorare come traduttore, e del suo compagno Alessandro, idraulico. La loro relazione, che dura da oltre quindici anni, è in crisi da tempo, e le uniche persone che riusciranno a ravvivare la loro vita saranno due bambini, di 9 e 12 anni, lasciatigli in custodia per alcuni giorni da Annamaria, migliore amica di Alessandro, affetta da vari problemi di salute.
Thank you for reading this post, don't forget to subscribe!Il lungometraggio segna quasi un ritorno alle origini per il regista di Istanbul, che torna a raccontare storie e descrivere situazioni e luoghi a lui congeniali, seppur con maggiore maturità e pacatezza rispetto al passato. Non mancano le passioni forti, che talvolta sfociano nel melodramma, così come le scene madri, tutte imperniate sul concetto di famiglia allargata, rigorosamente in chiave LGBT. Lo stile di Ozpetek è inconfondibile, tra movimenti vorticosi della macchina da presa, un utilizzo diffuso, quasi sfrenato della musica (da rimarcare la performance di Mina, impegnata, tra l’altro, in una sublime interpretazione del brano inedito “Luna Diamante”, scritto e composto da Ivano Fossati) e case meravigliose. Eppure, sebbene nel film siano presenti tutti i capisaldi della scuola cinematografica incarnata dal regista de “Il bagno turco”, la sua visione scenica appare questa volta molto più accomodante, conciliante. Lo stesso linguaggio utilizzato dai personaggi risulta più efficace, ed è diretto, forse, a quell’ampia frangia di pubblico che non si è mai lasciata trascinare e convincere completamente dallo stile di Ozpetek, nonostante le chiare manifestazioni di apprezzamento nei confronti delle sue produzioni.
Monumentale, dal punto di vista attoriale, è Edoardo Leo, che si cala, senza rinnegare le proprie attitudini, in un ruolo drammatico di complessità non trascurabile. A spalleggiarlo magnificamente, vi è il versatile e inossidabile Stefano Accorsi. Ciò che, tuttavia, rende il film un piccolo gioiello, è il suo calore, il suo lato più umano, capace di scaldare il cuore degli spettatori, che non possono che affezionarsi ai due protagonisti, così come ai personaggi secondari, i quali comunque non sfigurano (degna di nota, in tal senso, la performance offerta da Filippo Nigro e Pia Lanciotti, simbolo di un amore che si rinnova ogni giorno a causa del morbo di Alzheimer che affligge lui).
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Foto articolo: Immagine di repertorio