Ad Amatrice ancora intatti i segni del devastante terremoto.
Thank you for reading this post, don't forget to subscribe!Infatti, come riportato su Il Fatto Quotidiano, percorrendo la Salaria si vedono già una trentina di chilometri resti di edifici crollati, altri lesionati e tenuti insieme con putrelle d’acciaio o puntellati con pali di legno.
Inoltre, la zona rossa, cioè quel che fu il paese di Amatrice, è un paesaggio di macerie. Un deserto.
A testimonianza di ciò, la Torre civica del ‘200 fasciata in una gabbia d’acciaio e le quattro chiese più importanti, che il ministero dei Beni culturali cerca di recuperare.
Il sisma, oltre i 299 morti, ha lasciato tra Amatrice e Accumoli il 95% di edifici non agibili.
Come riportato su Il Fatto Quotidiano, il primo lavoro intrapreso dai tre commissari governativi è stato la demolizione. Due i lotti appaltati, uno per le macerie generiche, l’altro per gli edifici storici, vigilato dai beni culturali: si cerca di salvare ogni pietra utile.
Spiega Filippo Palombini, ingegnere sismico con dottorato a Londra, ex vicesindaco e da maggio primo cittadino:
“A due anni dal sisma non è ancora stato ricostruito nulla. Non si può partire con la ricostruzione tra gli edifici pericolanti. Per ricostruire in un territorio così vasto ci vogliono anni. Il problema è che per via delle macerie manca la fiducia”. Che due anni solo per demolire siano troppi Palombini non lo dice, ma ce l’ha con la burocrazia: “Studi di fattibilità, conferenze dei servizi, gare, ricorsi, cantierizzazione. Quando si decide che una gestione è commissariale, si dovrebbe agire con procedure più snelle”.
Il commissario alla ricostruzione, Paola De Micheli, in scadenza, fa sapere che per ora sono stati stanziati 150 milioni, 113 per le opere pubbliche, 35,6 per le 325 domande di ricostruzione dei privati.
Qui non ci si lamenta per ora di mancanza di fondi, né dell’intervento pubblico. La gestione dell’emergenza sembra aver funzionato.
Quello che preoccupa è il futuro: “Temo che il provvisorio diventerà definitivo”, dice un’altra signora delle “casette”.