Una mole di ricerche scientifiche su vasta scala ha ormai fugato ogni dubbio sul fatto che la bevanda più amata dagli italiani possa arrecare guai a chi ha disturbi cardiovascolari.
Thank you for reading this post, don't forget to subscribe!«Senza esagerare, il caffè non solo non fa male, ma nel lungo termine sembra addirittura conferire una lieve protezione da infarto, ictus, scompenso cardiaco», dice Alessandra Tavani, capo del laboratorio di epidemiologia delle malattie croniche presso l’Irccs – Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano.
«La caffeina contenuta nella tazzina può far aumentare leggermente la pressione del sangue e il battito cardiaco, ma l’effetto, transitorio e ininfluente dal punto di vista clinico, è più leggero in chi è abituato a bere l’espresso. Nessuna cardiopatia è provocata dal caffè. Solo chi già soffre di aritmie è meglio ne riduca il consumo oppure che opti per il decaffeinato».
Persino dopo un attacco di cuore, non c’è ragione per vietare il piacere di una tazzina. «Un vasto studio clinico italiano, chiamato Gissi, e condotto su oltre 11mila infartuati, ha mostrato che un consumo moderato non aumenta il rischio di nuovi eventi cardiovascolari», continua Tavani.
Semaforo verde anche per chi ha il colesterolo alto. «Il caffè è ricco di antiossidanti, come l’acido clorogenico, l’acido caffeico e le melanoidine, prodotte nella tostatura dei chicchi», specifica Amleto D’Amicis, vicepresidente della Società italiana di nutrizione umana e membro del Comitato scientifico per gli studi sul caffè.
«Dopo un pasto pesante, come una frittura, queste sostanze agiscono a livello gastrico sul bolo alimentare e nel circolo sanguigno, bloccando il nefasto processo di ossidazione e riducendo i rischi provocati dai radicali liberi».